Un caso emblematico di branding che ha cambiato il volto di una città
Nel mondo della comunicazione e del marketing, esistono campagne che vanno oltre la semplice promozione di un prodotto o di un servizio. Alcuni messaggi, infatti, riescono a catturare lo spirito del tempo, a raccontare un’identità collettiva, a incidere nell’immaginario di una generazione. È il caso di “Milano da bere”, uno degli esempi più iconici di branding efficace nella storia della pubblicità italiana.
Lanciato nel 1985, questo slogan è stato ideato da Marco Mignani, allora direttore creativo dell’agenzia BBDO Italy, per una campagna pubblicitaria dell’amaro Ramazzotti. Ma ciò che rende “Milano da bere” un vero caso di studio non è solo l’efficacia della campagna in termini commerciali. È la sua capacità di aver ridefinito l’identità percepita di Milano, trasformandola in un brand aspirazionale, simbolo di successo, modernità e dinamismo.
Dallo slogan al fenomeno culturale
All’apparenza, “Milano da bere” è una semplice tagline pubblicitaria. In realtà, racchiude un mondo. Negli anni ‘80, l’Italia era attraversata da forti trasformazioni: crescita economica, affermazione del ceto medio, emersione di nuovi stili di vita urbani. Milano, in particolare, stava vivendo un periodo di grande fermento. Era la città della moda, del design, della finanza. Era il cuore pulsante dell’innovazione e del cambiamento.
Mignani e il suo team seppero cogliere tutto questo e sintetizzarlo in tre parole. Con “Milano da bere” non si vendeva solo un amaro: si vendeva uno stile di vita. L’aperitivo diventava rito sociale, la città diventava protagonista. La comunicazione si faceva narrazione.
Comunicazione sistemica ante litteram
Oggi, nel lessico contemporaneo della comunicazione, si parlerebbe di comunicazione sistemica: un approccio integrato in cui prodotto, contesto e narrazione si fondono in un messaggio coerente e memorabile. La forza di “Milano da bere” stava proprio in questo: nel costruire un ecosistema narrativo capace di dialogare con il pubblico su più livelli.
Non si trattava solo di pubblicità tradizionale. Era una strategia che coinvolgeva l’identità di marca, ma anche il posizionamento culturale e simbolico del brand. Ramazzotti, da semplice digestivo, diventava il complice ideale di chi voleva sentirsi parte di un’élite urbana e moderna.
Una campagna che ha lasciato un’impronta
Ciò che distingue una campagna ben progettata da una campagna memorabile è l’effetto a lungo termine. “Milano da bere” ha segnato un’epoca. È entrata nel linguaggio comune, è stata oggetto di analisi sociologiche e culturali, è diventata titolo di libri e documentari.
E, soprattutto, ha influenzato il modo in cui gli italiani percepivano Milano. Prima di quella campagna, la città era vista come operosa, grigia, efficiente ma fredda. Dopo, era sinonimo di glamour, movida, opportunità.
La comunicazione aveva fatto molto più che vendere un prodotto: aveva plasmato l’immaginario di un’intera nazione.
Un benchmark per i professionisti della comunicazione
Per chi lavora oggi nel mondo del marketing, della brand identity o della comunicazione strategica, “Milano da bere” rappresenta ancora un punto di riferimento. Un benchmark che dimostra come, quando ben progettata, una campagna possa diventare parte della cultura popolare.
Non si trattava solo di trovare lo slogan giusto. Era l’intero sistema comunicativo – dal visual alla musica, dal tono di voce alle scelte stilistiche – a parlare lo stesso linguaggio, in perfetta armonia con il contesto socio-culturale.
In un’epoca dominata dalla frammentazione dei media e dalla sovrabbondanza di contenuti, è ancora più difficile raggiungere un risultato simile. Ma è proprio da casi come questo che si possono trarre lezioni fondamentali:
- La forza della sintesi: tre parole possono raccontare un mondo.
- L’importanza del contesto: ogni messaggio vive e risuona in un tempo e in uno spazio specifici.
- L’ambizione della narrazione: comunicare non è solo trasmettere un’informazione, ma costruire significati condivisi.
Conclusione
“Milano da bere” non è solo un episodio felice della pubblicità italiana. È la dimostrazione concreta di quanto la comunicazione possa incidere sulla realtà. Di come un’intuizione creativa possa trasformarsi in un fenomeno culturale, capace di durare nel tempo e di ispirare generazioni di professionisti.
Per questo, chiunque si occupi di comunicazione dovrebbe guardare a questa campagna non solo con ammirazione, ma con spirito critico e analitico. Perché imparare a raccontare bene un prodotto è importante. Ma imparare a raccontare un’epoca attraverso un prodotto è ciò che distingue i buoni comunicatori dai grandi narratori.
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